In L’amore bugiardo (Gone girl) di Gillian Flynn (Rizzoli, 2012) è descritto, con ammirevole maestria, l’incastro di due personalità diverse, ma in qualche modo complementari. Nella sua narrazione avvincente e ricca di colpi di scena, l’Autrice sembra chiedersi come si scelgono due persone, quali sono i singoli ingredienti che, assemblati insieme, creano qualcosa dal sapore unico e imprevedibile. Nel suo romanzo sono indagati i diversi livelli di questo incastro. Nick ed Amy, i due protagonisti, sono due giovani belli e di successo, questi sembrano i primi ingredienti che delineano la brillante coppia di giovani newyorkesi, che non possono fare altro che amarsi ed essere ammirati nella loro vita perfetta. Attraverso la scrittura in prima persona, in un alternarsi di punti di vista, rappresentati dal racconto di Nick e dal diario di Amy, scopriamo pian piano le personalità di entrambi, le aree oscure della loro mente, retaggio delle rispettive storie personali. Quella di Nick, il cui padre soleva dire, con tono sprezzante, che “ci sono tipi diversi di uomini”, sottointendendo che il figlio era del tipo sbagliato, pur essendo il gemello prediletto. Quella di Amy, estensione narcisistica di una ricca coppia genitoriale che aveva raggiunto il successo narrando le gesta di “Mitica Amy”, la loro proiezione di figlia perfetta, con cui la Amy reale si è identificata, ma contemporaneamente dissociata. I genitori di Amy avevano reso reale, quello che Masud Khan ha delineato come una dinamica di “idoleggiamento” piuttosto che di idealizzazione. Genitori che considerano il figlio come qualcosa creato da loro, non come una persona distinta, i genitori di Amy avevano creato non solo il loro idolo, ma anche quello di bambini e adolescenti. E’ questo che ha portato la bambina Amy a dissociare una parte di sé, la parte idoleggiata e creata dai genitori. E’ la parte che offre allo sguardo del mondo e nasconde una Amy che deve mantenere il controllo della situazione, fino alla fine e nonostante tutto, perché il senso di impotenza è intollerabile. Un senso di impotenza vissuto, probabilmente, nel momento in cui nel romanzo, uno dei tanti colpi di scena, ci porta a conoscere un nuovo personaggio.
“Con la curiosità di un bambino, mi immagino di aprirle il cranio, srotolarle il cervello e frugarci dentro, per catturare i suoi pensieri. A cosa pensi Amy? La domanda che ho fatto più spesso durante il nostro matrimonio, magari ad alta voce, magari non alla persona che avrebbe potuto rispondermi.”
E’ questa curiosità che cerca di soddisfare Gillian Flynn nel suo avvincente romanzo, riuscendo a catturare il lettore e sorprenderlo fino alla fine e lasciandolo con la sensazione che questa assurda storia d’amore non è poi così inammissibile o lontana dal vissuto di ognuno. Trionfa, alla fine, il bisogno di specchiarsi in occhi che ti vedano speciale.
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