Nel corso dei secoli filastrocche e storielle per bambini sono state caratterizzate dalla presenza di minacce (Ragan, 2006): il 41% delle filastrocche contengono elementi violenti (Davies et al., 2004). Gli psicologi infantili hanno spesso criticato le fiabe per essere troppo brutali, cruente e paurose, fornendo inoltre un quadro irrealistico del mondo (Sale, 1978). Queste fiabe hanno però avuto l’importante ruolo di avvicinare i bambini alla paura e alla possibilità di affrontarla.
Input minacciosi non provengono solo dalle fiabe, ma anche dalla quotidianità, attraverso i dialoghi dei genitori, dalla televisione, ecc. (Comer & Kendall, 2007 per una review).
Alcuni ricercatori si sono posti la domanda se tali tipi di input contribuiscano a generare paure ed angosce infantili. Muris e Field hanno passato in rassegna gli studi sulle paure e fobie infantili, focalizzandosi sulla loro genesi. Quella della paura è un’emozione, il cui funzionamento è stato spiegato da diversi modelli.
Le paure infantili non devono essere sottovalutate dai genitori, infatti, le fobie rappresentano una manifestazione estrema di queste paure (Craske 2003; Muris 2007). Dietro la fobia c’è un’angoscia non altrimenti gestibile, se non tramite l’evitamento e il controllo dell’oggetto fobico.
Le diverse ricerche sull’argomento si sono focalizzate su tre principali vie di acquisizione della paura.
- Condizionamento classico. Dimostrata da Watson e Rayner con un esperimento del 1920, nel quale presentarono uno stimolo neutro (un topino bianco) a un bambino piccolo e lo associarono ad uno stimolo che faceva sussultare di paura il bambino stesso (un forte rumore). Gli presentarono i due stimoli in associazione più volte, finché il bambino non cominciò ad avere paura anche del topino, che aveva associato al forte rumore.
- La seconda via è quella dell’apprendimento vicario (Askew & Field, per una review). In pratica osservando le paure di una persona, il bambino le apprende (es. genitore fobico dei cani e bambino che ha paura dei cani).
- La terza via è quella della trasmissione verbale dell’informazione minacciosa. L’idea alla base di questa terza modalità di instillazione della paura, è che il bambino diventi pauroso quando sente o legge informazioni che possono rappresentare un pericolo o avere altre connotazioni negative (Rachman, 1977, 1991). I media sono un importante veicolo di informazioni per i bambini, anche di informazioni minacciose.
Oltre alle ricerche che si sono focalizzate sul persistere in età adulta di un ricordo infantile di paura associato a qualcosa visto in televisione (Harrison & Cantor, 1999), alcuni studi hanno misurato la correlazione tra tempo passato davanti la tv o su internet dei bambini e sensazione di essere vulnerabili alle minacce del mondo esterno. Non è stata trovata nessuna correlazione significativa.
Un interessante ricerca di Hoven e collaboratori (2005) ha esaminato la presenza di Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) in bambini che non erano stati testimoni diretti dell’attentato de l’11 settembre 2001, ma lo avevano visto in televisione. E’ emerso che il 18.2% dei bambini che hanno assistito all’evento in televisione presentano sintomi post-traumatici, ansiosi o depressivi. In un’altra ricerca (Otto et al., 2007) è emerso che la presenza di DPTS non è maggiormente presente in bambini con precedente sintomatologia ansiosa e depressiva, o con una storia psichiatrica familiare. Il maggior predittore risulta invece essere la quantità di tempo passata di fronte alla televisione mentre trasmetteva notizie sull’attentato, ma solo per i bambini fino ai 10 anni di età.
I numerosi studi esaminati nella rassegna si Muris e Field (2010) sostengono, quindi, l’ipotesi che le informazioni verbali acquisite tramite il contesto ambientale ed i media siano correlati alla presenza di paure infantili, che costituiscono la base delle fobie adulte.
Quello che vedono e sentono alla televisione, nonché i discorsi dei genitori, possono quindi risultare intrusivi e non elaborabili, soprattutto per i bambini fino a dieci anni. E’ importante non lasciare i bambini impreparati di fronte a questi stimoli, cercando di renderglieli comprensibili e gestibili.
Le fiabe aiutano il bambino proprio a gestire angosce a cui, altrimenti, non riesce a dare un nome. Le fiabe si muovono su un piano simbolico e preconscio. Non intrudono la mente del bambino, ma lo aiutano ad affrontare situazioni conflittuali e angoscianti. Permettono l’affiorare di sentimenti e angosce che altrimenti rimarrebbero sotterranee e non avrebbero modo di essere espresse. Attraverso l’identificazione con i personaggi il bambino riesce a liberarsi di sentimenti aggressivi e di impotenza. Il bambino proietta se stesso nel protagonista della fiaba e ne assume le caratteristiche, la fiaba non deve essere spiegata al bambino, perché questo potrebbe risultare intrusivo. E’ importante quello che la fiaba simbolizza nel suo preconscio. Attraverso la fiaba il bambino riesce a tradurre in immagine degli stati interiori che possono essere angoscianti e, attraverso l’identificazione con il protagonista, impara che possono essere superati.
Molte ricerche hanno dimostrato che la paura è molto comune in età infantile. I bambini possono aver paura di animali (cani, ragni, ecc.), di situazioni mediche (dottore, iniezioni, dentista, ecc.) o di condizioni ambientali (altezza, buio, ecc.). Mediamente i bambini mostrano da 2 a 5 di questo tipo di paure, ma c’è molta differenza tra una ricerca e l’altra circa il numero di paure che presenta mediamente ogni bambino. La maggior parte di queste situazioni sono benigne, ma in una piccola percentuale di bambini, questo tipo di paure nasconde problematiche ansiose più gravi. Da una ricerca di Muris e collaboratori (2000) emerge, infatti, che un bambino su 5 (22.8%) presenta, alla base di queste paure, un disturbo ansioso o fobico e che questi disturbi interferiscono significativamente con la loro vita quotidiana. Questi disturbi devono essere presi seriamente. Inizialmente i bambini hanno paura della separazione dai loro genitori e degli animali, dai 4 anni iniziano ad esplorare il mondo e anche la paura della separazione diventa non rilevante. In fase adolescenziale comincia ad assumere un’importanza primaria il contesto sociale e si innescano, quindi, le fobie sociali.
In definitiva, ad instillare paure e fobie, sembrano essere gli input non elaborabili dal bambino, non quelli che riesce a trasformare attraverso l’attività immaginativa della fiaba che può quindi aiutare a rendere digeribili vissuti interni non comprensibili.
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