Diversi anni fa, ero all’inizio della mia attività di psicologa e psicoterapeuta, ricevetti la richiesta di un appuntamento via email. Era uno dei miei primi appuntamenti con un potenziale paziente. Si presentò un giovane uomo, apparentemente sicuro di sé. Mi aveva scelta, pensai, perché il mio studio era poco lontano da casa sua ed inoltre, a quel tempo, ero una dei pochi psicologi fiorentini presente sul web. Era un giovane uomo di successo, abituato a gestire situazioni lavorative complesse, ma in evidente difficoltà sul piano personale e familiare.
Mi chiese “una strategia” per risolvere pesanti angosce personali. Era già in cura farmacologica con antidepressivi e ansiolitici.
Quella parola, “strategia”, mi colpì molto. Mi vedeva come una professionista esperta in strategie. Pensai che di strategie ne sapevo poco, che anzi, i pochi studi di PNL che avevo fatto, mi avevano portato a ripudiarle come comportamenti manipolatori per menti poco brillanti.
Mi chiesi cosa intendesse quest’uomo così brillante con strategia. Qualcosa per ingannare la propria mente? Qualcosa di consapevole in grado di ingannare le risposte automatiche del nostro cervello che portano ad un attacco di panico? Le risposte automatiche sono inconsce, pensai che cercasse una strategia da usare consapevolmente per ingannare qualcosa di inconscio. Mi stava chiedendo la bacchetta magica.
Esistono terapie che si prefiggono di “ingannare” la risposta psicopatologica, ma la psicoanalisi non è una di queste. L’inganno attuato dalla strategia ha sempre un’efficacia limitata nel tempo, perché le ragioni per cui il sintomo psicopatologico si era creato, permangono.
Ero (e sono!) talmente entusiasta dell’effetto trasformativo profondo del trattamento psicoanalitico che non esitai a proporgli un’analisi a quattro sedute settimanali. Perché non avrebbe dovuto accettare? Aveva tempo libero, disponibilità economiche, voleva risolvere i suoi problemi. Rifiutò. Adesso capisco che avevo agito la sua angoscia claustrofobica proponendogli un percorso da cui si sentiva troppo vincolato. La sua richiesta era un’altra, non era quella di lavorare su se stesso e sulle proprie fragilità.
Mi dispiacque molto, non solo perché ero all’inizio della mia attività professionale, ma soprattutto perché pensai che era davvero un’occasione persa per quell’uomo. Avrebbe potuto vivere una vita veramente libera dalle proprie fragilità e, viste le capacità che aveva già dimostrato di avere, avrebbe potuto vivere la sua vita in modo ancor più libero e appagante.
Se dovete affrontare un discorso pubblico e questo vi provoca ansia, potete provare a frequentare un corso public speaking, ma conoscere le tecniche di comunicazione efficace e le relative strategie, non vi servirà se il vostro problema è più intimo e profondo. L’ansia che provate all’idea di parlare in pubblico riguarda la vostra autostima, che avete costruito durante la vostra infanzia nelle relazioni con gli altri. Se siete persone ansiose e siete terrorizzati dal giudizio degli altri, qualsiasi strategia apprendiate per gestire il problema, avrà un’efficacia per un lasso di tempo più o meno breve. Questo perché i motivi che avevano creato il sintomo ansioso, sono sempre lì, pronti per esprimersi nello stesso o in altri modi. Il sintomo è, infatti, il segnale di qualche nostra fragilità interna, qualcosa che a livello psicologico non siamo riusciti a costruire in modo completamente adeguato. Se troviamo una strategia per gestire il sintomo, non risolviamo ciò che l’ha causato ed è quindi destinato a ripresentarsi.
Stabilire un contatto visivo con un ipotetico interlocutore di riferimento, tenere in mano qualcosa di rassicurante, parlare con calma, non servirà se non affrontate l’origine dell’angoscia di non valere abbastanza.
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